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La nuova identità di Valentino firmata Alessandro Michele

Rebranding o ritorno alle origini?

di Angelica Eruli
4 min

Domenica ha sfilato la prima collezione di Valentino firmata Alessandro Micheleex direttore creativo di Gucci diventato di recente anche autore di un libro sulla teoria della moda “La via delle forme”. La sfilata era stata anticipata ad un avant les débuts nel quale lo stilista aveva presentato già alcuni casi della sua collezione.

Un inno alla fragilità della bellezza

La sfilata di Alessandro Michele per Valentino è stata un autentico viaggio nell’essenza della bellezza, esprimendo quella fragile complessità che rende il concetto stesso di bellezza così affascinante e indefinibile.

Le silhouette, eteree e quasi evanescenti, si muovevano come ombre fugaci, avvolte in tessuti leggeri e trasparenti, che sembravano quasi dissolversi sotto i riflettori. La scelta cromatica, sospesa tra tonalità pastello e accenti più intensi, rievocava un tramonto polveroso, quel momento in cui la luce si affievolisce e tutto appare in bilico tra il visibile e l’invisibile. Alessandro Michele ha saputo catturare questa sfumatura effimera, portando in passerella un’ode alla transitorietà della bellezza, alla sua inevitabile trasformazione.

Gli accessori, come gioielli che sembravano quasi reliquie di un’altra epoca, aggiungevano una nota nostalgica, sottolineando il tema della fragilità. Ogni dettaglio raccontava una storia di vulnerabilità, di un lusso che si fa leggero e fuggevole, lontano dall’opulenza esibita, ma carico di una sofisticatezza silenziosa. La sfilata di Michele per Valentino non è stata solo un’esibizione di abiti, ma un manifesto poetico sulla bellezza, che trova nella sua fragilità la sua più autentica forza, un inno alla consapevolezza che la vera eleganza risiede proprio in ciò che sfugge e si consuma.

Attingere agli archivi della maison o pulizia stilistica?

La sfilata di Alessandro Michele per Valentino è stata un esempio lampante di come il rebranding possa diventare un’operazione chirurgica di “pulizia” stilistica. È stato un ritorno alle origini, certo, ma con l’intento di fare tabula rasa di tutto ciò che si era frapposto nel corso degli anni.

Michele ha scavato negli archivi con la precisione di un archeologo, riportando in vita i codici estetici che avevano definito l’essenza del brand, ma lo ha fatto senza alcun rispetto per le sfumature evolutive che avevano contraddistinto il percorso del marchio.

È come se la storia recente di Valentino fosse stata liquidata con un colpo di spugna, come se tutto ciò che non si è allineato con la visione “pura” degli inizi fosse stato considerato un mero incidente di percorso.

Questa sfilata non è stata un omaggio nostalgico, ma piuttosto una dichiarazione di intenti: cancellare quanto era stato fatto dal suo predecessore per far emergere solo ciò che Michele riteneva essenziale. E in questo processo, è inevitabile chiedersi se il passato non sia stato romanticizzato a tal punto da annullare qualsiasi traccia di evoluzione, come se la bellezza stessa fosse destinata a essere costantemente rivista, rimaneggiata e ripulita per adattarsi a un ideale che, paradossalmente, non esiste più.

L’operazione di Michele ha avuto il sapore cinico di un reset” strategico: un ritorno alle origini che, però, ha voluto ignorare volutamente tutto ciò che c’era stato di mezzo, come se l’unica strada per il futuro fosse quella di riscoprire un passato privo di imperfezioni e contraddizioni.

Una collezione da indossare o esercizio di stile per Alessandro Michele?

Le linee sono chiare, la cornice teorica della sfilata pure, ma la domanda che sorge spontanea è: questi capi sono davvero indossabili? Michele ha osato infrangere le regole, portando in passerella un’estetica barocca e pomposa, che sembra andare contro ogni principio del minimalismo.

C’è da chiedersi se questa visione così audace e teatrale possa realmente trovare spazio nella vita di tutti i giorni. Gli abiti voluminosi, le decorazioni esagerate e i dettagli sfarzosi sono magnifici sul catwalk (di vetro infranto, proprio come lui ha rotto con l’estetica precedente), ma quanti di noi potrebbero indossarli senza sembrare fuori luogo in un contesto quotidiano?

È come se Michele avesse deciso di ricordarci che la moda, in fondo, non deve sempre essere pratica o funzionale, ma può anche essere un atto di ribellione, un’espressione di pura creatività e sfarzo.

Eppure, il pubblico gli ha reso omaggio con una standing ovation. Forse perché, in un momento in cui il “quiet luxury” rischia di diventare quasi una divisa, l’esuberanza di Michele è stata una boccata d’aria fresca, un invito a non prendere la moda troppo sul serio.

Forse questi capi non sono pensati per essere indossati tutti i giorni, ma rappresentano il desiderio di sognare, di esagerare, di uscire dagli schemi. Ed è proprio in questa tensione tra indossabilità e spettacolo che l’estetica di Alessandro Michele trova la sua vera forza: la moda può essere anche una festa, un momento di pura, sfrenata celebrazione.

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