Sommario
La moda è un riflesso della società, un’interpretazione stilizzata delle sue paure, speranze e lotte e quando la politica si muove, la moda spesso reagisce, adattandosi o ribellandosi ai venti del cambiamento. Quale cambiamento più grande se non la (ri) elezione di Donald Trump e l’attuazione delle sue promesse elettorali?
Moda e sostenibilità
Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, l’attenzione verso i cambiamenti climatici potrebbe inevitabilmente scivolare in secondo piano, con una riduzione delle politiche severe per ridurre l’impatto ambientale dell’industria. Questo potrebbe rappresentare una sfida per i marchi di moda che hanno già intrapreso un percorso verso la sostenibilità (e che viene molto apprezzato dai consumatori europei) spinti dalle normative ambientali più rigide degli ultimi anni.
Tuttavia, i consumatori, specialmente i più giovani, continueranno a chiedere un impegno verso la sostenibilità: la pressione sociale potrebbe quindi spingere i brand a mantenere una direzione sostenibile, anche in assenza di incentivi governativi. Le aziende dovranno trovare un equilibrio tra le richieste del mercato e le nuove politiche meno restrittive in termini di sostenibilità
Dazi e import della moda: il ritorno al protezionismo americano?
Con la rielezione di Trump, è probabile che le politiche protezionistiche tornino in primo piano. La politica commerciale degli Stati Uniti potrebbe vedere un aumento dei dazi sui beni importati, specialmente da paesi come la Cina, che sono fornitori fondamentali per il settore moda.
Questo cambiamento avrà un impatto diretto sui prezzi dei capi d’abbigliamento, sia per i produttori che per i consumatori. L’aumento delle tariffe potrebbe far lievitare i costi di produzione, e i brand potrebbero trovarsi a dover decidere se ridurre i margini di guadagno o trasferire questi aumenti sui clienti. Questo scenario potrebbe portare a un incremento dei prezzi al dettaglio, rendendo alcuni prodotti meno accessibili per i consumatori.
E poi, giganti del fast fashion – come Shein e Temu – che hanno trovato modi creativi per evitare certi dazi grazie ai loro prodotti a basso costo, potrebbero non essere minimamente toccati da eventuali cambiamenti nelle politiche sul de minimis. .
Meno diritti per i lavoratori (forse)
È probabile che nei prossimi 5 anni ci sarà una minore enfasi sulla regolamentazione dei diritti dei lavoratori, sia negli Stati Uniti che nei paesi in via di sviluppo; le conseguenze? un allentamento dei controlli sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche di moda all’estero, permettendo ai marchi di ridurre i costi di produzione ma sollevando questioni etiche.
La mancanza di una regolamentazione rigorosa potrebbe avere conseguenze negative sulla percezione del pubblico verso quei marchi che non garantiscono condizioni di lavoro dignitose. I consumatori consapevoli potrebbero boicottare quei brand che non dimostrano un impegno verso la responsabilità sociale, spingendo le aziende più attente alla loro reputazione a continuare a investire in soluzioni eque e trasparenti.
Polarizzazione culturale e la moda
Il ritorno di Trump rappresenta una polarizzazione culturale che potrebbe riflettersi nelle scelte stilistiche. In tempi di grande divisione politica, la moda diventa spesso un mezzo per esprimere opinioni e prendere posizione. È probabile che molti designer e brand utilizzino le loro collezioni per opporsi alle politiche della nuova amministrazione, trasformando la moda in un vero e proprio manifesto di resistenza.
Non dimentichiamoci che già durante il primo mandato di Trump, numerosi stilisti si erano schierati apertamente contro alcune delle sue politiche, utilizzando le sfilate come piattaforma per esprimere dissenso. Con la sua rielezione, possiamo aspettarci un ritorno di questa tendenza, con collezioni che riflettano le tensioni e le divisioni della società americana.