Sommario
Il mondo della consulenza d’immagine è spesso avvolto da segreti e misconcezioni, ma Roberta Favale, una professionista dalla visione unica, ci rivela come abbia iniziato questo affascinante percorso partendo dai colori e abbracciando i cambiamenti. Nell’intervista, Roberta condivide il suo viaggio personale, passando dall’arte e dal design d’interni fino a giungere alla scoperta dell’armocromia. Una storia di passione, libertà e la ricerca di una visione personale nell’arte di valorizzare le persone attraverso i colori.
La consulenza d’immagine di Roberta è caratterizzata da un approccio profondo, personale e intangibile. Per lei, la bellezza non è solo superficiale ma riflette la personalità che la sostiene. Roberta ci invita a concentrarci meno sulla forma esteriore e più sulla forza interiore, nutrendo gli occhi e la mente per acquisire una visione estetica giustificata dai contenuti.
Quest’intervista svela la passione di Roberta per il colore, la sua specialità nel settore, e il suo desiderio di comunicare con chiunque, andando oltre le definizioni e i cliché. Il suo lavoro è una risorsa preziosa, un nuovo ordine strutturale vitale che connette le persone con i colori autentici e il proprio stile.
Con Roberta Favale, la consulenza d’immagine diventa un’arte e una scienza unica, un viaggio alla scoperta del potenziale delle persone attraverso i colori e la libertà di essere sé stessi.
Come è iniziato il tuo percorso nella consulenza d’immagine?
Dal colore. O forse, dalle coincidenze della vita, che ti portano ad accettare i fallimenti e scorgere il potenziale nelle situazioni di rottura.
Tutto è iniziato quando ho deciso di accogliere il cambiamento, anzi, di generarlo, partendo dalla mia più grande passione: l’arte e il colore. Negli anni, fra pittura amatoriale, studi artistici e un breve periodo nel design di interni ho affinato una personale visione estetica per forme e colori.
Ho cercato per molto tempo un settore professionale in cui potessi applicare questa visione.
Il più delle volte, finivo per adattarla, incastrarla, allontanandomi, sempre di più, dalla forma originaria a cui tendevo. Non sono mai stata brava a seguire le regole e ho sempre trovato difficile fare quello che “andava fatto”.
Questo mi ha condotto, dopo l’ennesimo tentativo, in un periodo della mia vita non facile, di cui non parlo spesso. Un momento di rottura interiore, doloroso, ma determinante.
Decisi che avrei smesso di adattare il mio modo di vedere le cose ad un registro preformato.
Di crearne uno io. Uno Mio. Un giorno, per caso, sentii la parola “armocromia”. Pensai di seguire quella traccia. La traccia di quel termine così particolare che, al suo interno, racchiudeva un elemento a me caro: il colore.
Da cosa hai capito che era la tua strada?
Dalla piena libertà, che sentivo, di modellare tutto ciò che imparavo secondo la mia visione, anche se questo implicava integrare e, a volte, sovvertire le nozioni che studiavo e non condividevo.
Percepisco la consulenza di immagine più come un mezzo, una risorsa, che mi permette di camminare lungo la strada, non la strada stessa.
Se dovessi raccontare la tua professione con 3 aggettivi quali useresti e perché?
Non sono molto brava con la sintesi, è un esercizio che evito volentieri. Provo. Direi: profonda, personale e intangibile. Questo è l’unico modo in cui potrei descriverla perché è l’unico modo in cui riesco a svolgerla.
Quello che percepiamo dell’altro non ha forma, non ha aspetto. Spesso lo associo ai composti volatili del cibo, elementi invisibili che ne caratterizzano l’aroma. Formano l’80% della nostra percezione gustativa, eppure, non li vediamo, sono intangibili, ma se non ci fossero, perderemmo “l’intera immagine” del loro sapore.
L’aspetto profondo, personale e intangibile del mio lavoro è ciò che ricerco, una risorsa preziosa.
E tu come consulente come ti definiresti?
Ordinaria nel credermi poco ordinaria. Curiosa.
Aurorale, senza una forma fissa e immutabile. Non amo le chiusure e le definizioni. In realtà non amo neanche definirmi consulente di immagine anche se, comprendo, è il modo più veloce per descrivere la mia professione. Veloce, ma non esaustivo, non mio. Non Io.
Quali sono i segreti di un look perfetto?
Non porsi questa domanda.
Concentrarsi meno sulla forma esteriore e più sulla personalità che la sostiene.
Nutrire gli occhi e la mente per acquisire una visione estetica giustificata dai contenuti, non dall’involucro.
Come spiega Roland Barthes “Attraverso la moda la società si mette in mostra e comunica ciò che pensa del mondo”.
Cosa ti caratterizza e cosa ti distingue come consulente?
Domanda difficile e, forse, un po’ ambiziosa. Presuppone il fatto, che agli altri siano arrivate le mie intenzioni, le mie visioni, in maniera così potente da percepirle uniche e distintive.
Forse dovrei farvi io questa domanda.
Posso solo dire, che ciò che provo a comunicare, rubando le parole a Gyorgy Kepes è “un nuovo ordine strutturale vitale, una nuova formula” nel percepire l’altro, non come categoria ma, come Persona.
Se dovessi identificare la tua “specialità” quale sarebbe?
Il colore.
Quando ho iniziato i miei corsi sul colore, nel mio settore, pochi o nessuno li proponeva in modo così tecnico e approfondito. Ad oggi, questo è il posizionamento più evidente.
Dietro le quinte, la personalizzazione nel senso vergine del termine. La ricerca di un’affinità cromatica che connetta le persone con i colori. I loro veri colori, che molto spesso non trovano riscontro in una categoria stagionale.
Lo studio della percezione visiva applicata ai progetti di stile che, da sempre, investono il 98% delle mie consulenze.
Forse, la mia specialità è parlare a chi non si sente rappresentato da un registro chiuso e definito.
Quali sono i tabù attribuiti a questo lavoro?
Credo che un vero tabù sia all’interno del nostro settore. Lo stigma dell’errore e la paura della valutazione soggettiva. Questo senso di infallibilità scritto implicitamente nei nostri CV, che non ci permette di tentare, provare, forse fallire, senza sentirci professionalmente sminuiti.
È un settore che spesso opera “la caccia all’errore”. Che cerca la “verità assoluta” non lasciando spazio all’ambiguità così come descritta da Semir Zeky in uno dei suoi testi “Con gli occhi del cervello”:
“La maggior parte delle persone ha una concezione errata dell’ambiguità, perché ne conosce soltanto la definizione da vocabolario, che sottolinea gli aspetti di «incertezza» e «vaghezza». Eppure, l’ambiguità nasconde una qualità antitetica, il più delle volte tralasciata, ovvero la «certezza», intesa come certezza di molte interpretazioni diverse, ciascuna delle quali plausibile, al pari delle altre. In questo modo, non esiste… una soluzione univoca.”
C’è un obiettivo professionale che non hai ancora realizzato? Esprimi un desiderio e raccontamelo
No. I miei obiettivi sono sempre di natura personale, il mio lavoro è un mezzo per raggiungerli.