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Ogni anno, l‘8 marzo si trasforma in un’esplosione di mimose, auguri festosi e omaggi commerciali che sembrano gridare al mondo quanto sia bello essere donna. Sì, certo, perché niente dice “parità di genere” meglio di un mazzo di fiori gialli che appassisce dopo tre giorni, un perfetto simbolo dell’attenzione fugace che la società riserva alle questioni femminili. Ma prima di perdersi in queste celebrazioni effimere, bisogna chiedersi: c’è davvero motivo di festeggiare?
Dietro l’illusione di una giornata tutta frizzante e colorata, si nasconde una realtà meno instagrammabile. Il cuore del problema è molto più profondo e riguarda anche le copertine dei settimanali “prestigiosi” che scelgono questa data per sfoderare il peggio del loro umorismo sessista. Il gender gap e, per essere più specifici il gender gap salariale, quei concetti che ci ricordano come, in pieno XXI secolo, essere donna sul posto di lavoro possa ancora significare guadagnare meno dei propri colleghi maschi.
E poi, come dimenticare l’apice della festa, quel fenomeno tanto in voga che trasforma l’amore in tragedia: i femminicidi. Perché nulla dice “ti amo” come negare l’esistenza stessa dell’altra persona. Ma hey, perché concentrarsi su questi dettagli quando possiamo semplicemente affogare tutto in un mare di mimose?
La situazione salariale in Italia, siamo penultimi in Europa
Quante volte è capitato di non sentirsi all’altezza o di dover abbandonare il proprio lavoro per dedicarsi alla famiglia?
Un’indagine condotta da Odm Consulting per Gi Group Holding rivela che il divario di retribuzione di genere in Italia si mantiene stabile al 10,7%, confermando la persistenza di una significativa disparità salariale tra uomini e donne. Questa differenza si verifica indipendentemente dal ruolo lavorativo occupato, dimostrando che, sia che si tratti di operai, impiegati, quadri o dirigenti, le donne tendono a percepire uno stipendio inferiore rispetto ai loro colleghi maschi per lo stesso lavoro. Questi dati evidenziano una questione di fondo non ancora risolta nella lotta per l’uguaglianza di genere nel mondo del lavoro.
E per non farci mancare nulla, ecco che l’Italia si guadagna un altro primato, quello del tasso di inattività femminile, che raggiunge il vertiginoso 43,6%, superando la media europea. Ma la ciliegina sulla torta è il dato di dicembre 2023: mentre tutti festeggiano l’aumento degli occupati (un bel mezzo milione in più, bravi tutti), le donne inattive crescono di 19mila unità. E le donne, evidentemente, hanno deciso di prendersi una pausa, perché, d’altronde, chi avrebbe mai bisogno di lavorare o studiare?
Allo stesso tempo, il nostro Paese presenta un tasso di inattività femminile del 43,6%, superiore alla media europea del 30%. Sebbene nel dicembre 2023 si sia registrato un aumento complessivo dell’occupazione, con circa mezzo milione di nuovi posti di lavoro, l’analisi dettagliata mostra che l’incidenza positiva sull’occupazione femminile è stata minima. In quel periodo, infatti, il numero delle donne inattive (che né lavorano né studiano) è aumentato di 19mila unità, mentre quello degli uomini inattivi è diminuito di 13mila, evidenziando una discrepanza preoccupante nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Insicurezza e figli, due fattori che remano contro
A rendere la situazione in Italia ancora più preoccupante ci sono due fattori che remano contro gli sforzi di raggiungere la tanto desiderata e meritata parità di genere.
Nel meraviglioso mondo del lavoro femminile in Italia il timore di chiedere un aumento diventa quasi un tratto distintivo: il 63% delle lavoratrici si sente sottopagata, ma ahimè, solo una su tre trova il coraggio di chiedere di più. E perché mai? Semplice: una miscela esplosiva di mancanza di fiducia in se stesse e di totale ignoranza e inconsapevolezza su quanto dovrebbero guadagnare. Quasi il 20% ritiene che chiedere un aumento sia fantascienza, mentre il 31% teme di essere catapultata nell’oblio professionale solo per aver osato desiderare uno stipendio adeguato. Insomma, un vero e proprio festival dell’autosabotaggio.
Il gender gap si fa più profondo non appena una donna decide di diventare madre. La logica voleva che più donne lavorassero, più bambini venissero al mondo, grazie a quella favolosa stabilità finanziaria che dovrebbe accompagnare l’occupazione. Ma… sorpresa! Con il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa e il record di tasso di natalità più basso, l’Italia si conferma campione di contraddizioni. Se hai la sfortuna di essere una donna lavoratrice con prole, il tuo tasso di occupazione scende drammaticamente, come se la maternità fosse una sorta di hobby che ti puoi permettere solo se hai tempo e denaro da sprecare.
E per quanto riguarda l’assistenza all’infanzia, l’Italia si aggiudica l’ennesimo primato, quello di non riuscire a garantire un posto in asilo nido a una larga fetta di bambini. Con solo il 28% dei piccoli che trova posto, possiamo tranquillamente dire che l’Italia è la terra promessa per chi ama le lunghe liste di attesa. In pratica, la soluzione al problema dell’occupazione femminile e del tasso di natalità potrebbe essere semplice come aumentare i posti negli asili nido, ma perché scegliere la strada facile quando si può complicarsi la vita?
La risposta delle consulenti d’immagine
In un mondo dove le sfide sembrano talvolta insormontabili, soprattutto in Italia, le storie delle consulenti d’immagine che raccontiamo nella rubrica Stories ci ricordano che, anche nei momenti più bui, può nascondersi l’alba di una nuova opportunità.
Molte delle professioniste che oggi aiutano i propri clienti, con passione e dedizione, attraverso un cammino alla scoperta dell’autenticità e dell’armonia dell’immagine personale, hanno trovato la propria strada attraversando valli oscure di dubbi e incertezze.
Sono state proprio quelle difficoltà, quelle fasi di profonda riflessione e confronto interiore scatenate da una società ancora profondamente sessista, a spingerle verso la scoperta, lo studio e la pratica di una professione che oggi non solo le appaga profondamente, ma consente loro di illuminare la vita di chi cerca un nuovo inizio.
Ogni sfida superata è stato un gradino verso la realizzazione di sé, dimostrando che la resilienza e la passione possono trasformare le avversità in trampolini di lancio per una carriera ricca di soddisfazioni e successi.
Le consulenti d’immagine sono l’esempio vivente che, anche quando il percorso sembra incerto, esiste sempre una via per scoprire e praticare la propria vocazione, rendendo il viaggio non solo possibile, ma incredibilmente meraviglioso.
E mentre l’Italia continua a regalare al mondo la sua infinita collezione di paradossi, possiamo solo sperare che un giorno il senso di ironia nazionale possa trasformarsi in azioni concrete per colmare quel gap di genere che, al momento, sembra più un baratro. Fino ad allora, però, tiriamo fuori il nostro miglior sorriso sarcastico e brindiamo alla resilienza delle donne e alle consulenti d’immagine italiane, vere eroine dei tempi moderni, che ogni giorno si alzano e vanno avanti, nonostante tutto.