Sommario
Se vivere nel “qui ed ora” può essere considerato un mantra per assaporare appieno la permanenza di un uomo sulla terra è anche vero che è il peggior consiglio che si possa dare per la salvaguardia del pianeta dove quell’uomo si trova a soggiornare.
Le cause che hanno condotto all’inquinamento fuori controllo della nostra comune “casa” sono da rintracciare a spasso nel tempo. Forse, prima di tutto, nel poco spirito previsionale delle possibili conseguenze delle azioni del presente sul futuro. Spirito che i nostri avi hanno avuto ben prima di noi.
1987: per un futuro migliore nasce la sostenibilità
Il contesto di corsa ai ripari di oggi era una flebile brezza che tirava nell’aria, inascoltata, già trent’anni fa. Nel 1987, Gro Harlem Brundtland, presidente della Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo (WCED) presenta il rapporto “Our common future”.
In quel momento la sostenibilità fa il suo ingresso in società: oggi è uno dei goals dell’Agenda 2030 Nazioni Unite. La definizione di sostenibilità recita più o meno: “Soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura”.
17 goals per lo sviluppo sostenibile si propongono di definire un nuovo modello di società. Una società saldamente ancorata a fondamenta di responsabilità ambientale, sociale ed economica.
La sostenibilità è un concetto trasversale che abbraccia, o dovrebbe, il sistema produttivo generale. Il fine è di garantire ai posteri un pianeta uguale, possibilmente migliore, di quello che abbiamo trovato noi. Il significato, con l’andare del tempo, ha spostato il suo centro da ambiti prettamente ecologici fino ad un significato globale.
Calcoliamo il danno?
Per comprendere appieno il concetto di sostenibilità è necessario intercettare il significato di impatto ambientale. Per impatto ambientale si intende “Alterazione da un punto di vista qualitativo e quantitativo dell’ambiente. È considerato come insieme delle risorse naturali e dell’attività umane a esse collegate, conseguente a realizzazioni di rilevante entità. (fonte TRECCANI). Per semplificare: è la conseguenza, il cambiamento, positivo o negativo, derivante da un’azione.
Tutto ciò che si trova sulla terra genera un impatto ambientale. Questo vale anche per la moda che, ahinoi, si trova su un podio importante di cui non può andare fiera. È seconda solo al settore petrolchimico come livello di inquinamento prodotto. Alcuni studi la danno al quarto posto, ma la collocazione fuori dal podio non può comunque essere motivo di vanto.
Ad appesantire una situazione già pachidermica ci ha pensato il fast fashion. Questo settore dell’industria dell’abbigliamento produce collezioni a prezzi modici, con un continuo ricambio di pezzi, rinnovate in tempi brevissimi. Così si riduce il ciclo di vita di un capo, aumentando la produzione e la necessità di smaltimento.
Questa esigenza di continua produzione, pur piacevole agli occhi e godibile ai più, ha concretizzato danni importanti a livello globale. L’inquinamento, circa il 20% delle risorse idriche complessive, è riconducibile alla moda a cui possiamo aggiungere altissime emissioni di carbonio.
Si stimano circa 1,2 miliardi di tonnellate l’anno e l’ulteriore livello di inquinamento generato dalla lavorazione dei materiali. Ma anche dai processi produttivi e dallo smaltimento degli abiti dismessi, quasi mai riciclati.
Intervenire per forza di cose: la moda sostenibile
Il mondo nel frattempo ha deciso, non del tutto spontaneamente, ma per evidente impossibilità a
perpetrare nello sperpero di pianeta degli ultimi decenni, di provare ad invertire la tendenza. Si tenta infatti di salvare il salvabile, tracciare una riga e ripartire da zero con le nuove generazioni. Impresa assai ardua perché, per ottenere effetti in tempi accettabili, servirebbe un corposo spiegamento di forze da parte di tutti. In ogni caso, trasversalmente, persone normali e mondo dell’industria stanno prendendo la via indicata dall’Onu. Passo dopo passo, provando a percorrere una strada e lasciandola, alla fine del percorso, almeno pulita come l’hanno trovata.
In questo panorama di evoluzione il mondo della moda apre le sue porte alla sostenibilità: nasce il sustainable fashion, la moda sostenibile
Sempre più aziende contano produzioni attente all’ecosistema, al risparmio energetico, all’uso di materie prime organiche. Senza togliere di qualità ai prodotti finiti che arrivano nei nostri armadi. In questo scenario rintracciamo linee di abbigliamento 100% ecosostenibili, tessuti derivanti da riciclo, colori naturali e filati completamente biodegradabili. Anche in passerella.
La moda sostenibile: occhio ai materiali
Il primo passo verso un concetto di moda sostenibile è stato l’abbandono progressivo della pelle vera. Quasi
tutti i brand e le maison più blasonate hanno sostituito l’uso della pelle con produzioni di prodotti fur-free
L’elenco delle materie prime ha visto dei drastici cambiamenti in linea alla sostenibilità dell’abbigliamento. Vediamo primeggiare tessuti come la canapa, il lino e la juta. Oppure fibre artificiali ecocompatibili come il lyocell, il bamboo orang fiber. Oppure, ancora, fibre sintetiche derivanti dal riciclo, per esempio della plastica.
Il cotone è una fibra naturale molto diffusa che però necessita di grandissimi quantitativi di acqua per essere prodotta. Per questo, se non sostituito, se ne prediligono specifiche tipologie certificate. Tali tipologie vietano utilizzo di agenti cimici per la coltivazione, estrazione e lavorazione della materia prima.Inoltre limitano l’uso di acqua prevedendone, ove possibile, il riuso.
La figura di consumatore consapevole tende a scegliere non più solo seguendo i trend ma, sempre di più, predilige scelte produttive ecologiche. Le aziende stanno iniziando a comprendere quanto l’attenzione alla filiera integrata sia realmente un plus per il valore del brand. Attenzione alle emissioni inquinanti, consumo energetico, biodegradabilità, riciclabilità, impatto idrico, gestione rifiuti, costi ambientali di logistica e trasporti.
Il consumatore va educato alla scelta dei capi, all’acquisto consapevole ed al riciclo. Nel mentre il comparto moda, tutto, deve necessariamente settarsi, coordinarsi in modo univoco per ottenere risultati soddisfacenti in tempi accettabili. Senza peggiorare ulteriormente una situazione già compromessa.
La moda sostenibile, o sustainable fashion, rispetta l’ambiente in ogni fase di vita del prodotto. Dalla concezione alla produzione, dalla distribuzione alla vendita, finanche allo smaltimento e in questo modo rispetta la società. È possibile, dunque, vivere nel “qui ed ora” godendo dei trend in modo ragionato e quanto più cosciente possibile. Come?Scegliendo brand che certificano il ciclo produttivo virtuoso e limitano sprechi e consumi. Tanto per cominciare, per percorrere una strada pulita domani basta non sporcare quella su cui stiamo camminando oggi.